ThePolitician.it

Alessandro Di Battista e la Cina

Una lunga lettera di Alessandro Di Battista sulla Unione Europea e l’importanza della Cina

Alessandro Di Battista : “Ieri il Senatore Salvini, in diretta da Giletti, ha pronunciato queste parole: “la ricetta di Di Battista è diamo il nostro debito in mano ai cinesi”. Da lì sono partiti i soliti giornali con le solite scemenze. Questo è ciò che ho scritto (vi invito a leggere, sono le mie idee) e chiaramente quel che ha sostenuto il Senatore Salvini è una menzogna. In molti mi attaccano in queste ore. È anche abbastanza facile farlo adesso: uso poco i social e non vado da molto tempo in TV. Ma le bugie hanno le gambe corte e la statura di certi politici è molto bassa.

“L’ emergenza COVID-19 e l’inconsistente reazione dell’Europa – sopratutto se paragonata agli interventi economici cinesi, britannici e nordamericani – ha trasformato in euroscettici anche i più ferventi fanatici dell’Unione. Tuttavia non vi è nulla di puro nelle loro conversioni. Politici e commentatori senza spina dorsale seguono il vento e prendono posizione solo dopo aver letto l’ennesimo sondaggio commissionato e, spesso, pagato con denaro pubblico. Oggi, per la stragrande maggioranza degli italiani, l’Unione europea è un’organizzazione inutile per non dire dannosa. Per questo una schiera di sepolcri imbiancati da sempre trombettieri del sistema inizia a usare termini che fino a poche settimane fa utilizzavano solo quelli che lorsignori accusavano di populismo.

«Che Europa è se non c’è solidarietà adesso?» si domanda Romano Prodi. Francamente la solita Europa, l’unica che conosciamo, quella che ha strangolato la Grecia per depredarla. Fino al 2057, infatti, 14 dei principali aeroporti greci (tra cui Corfù, Creta, Zante, Rodi, Mykonos e Santorini) saranno gestiti dalla Fraport, un colosso dei trasporti tedesco con sede a Francoforte i cui azionisti principali sono il Land dell’Assia, la holding della città di Francoforte, Lufthansa e la merchant bank americana Lazard. Anche l’aeroporto di Atene è saldamente in mano teutonica, o meglio lo sarà fino al 2046, quando scadrà la concessione ad AviAlliance, società aeroportuale con sede a Düsseldorf. Gli aeroporti greci hanno permesso alla Fraport, tra il 2017 e il 2018 di aumentare i ricavi del 18,5%. «Non vi è nulla di male, è la logica del profitto» potrebbe obiettare qualcuno. D’accordo, purché lo si dica chiaramente. Si ammetta una volta per tutte che l’Europa altro non è che una corporazione di rappresentanti del capitalismo finanziario che hanno come obiettivo la disgregazione degli Stati centrali a vantaggio delle privatizzazioni e dell’accentramento di ricchezze in poche mani.

L’Unione europea non è intervenuta sulla Grecia convalescente quando la si poteva salvare con una cura leggera, al contrario ha atteso l’aggravarsi del paziente il quale, una volta agonizzante, si è dovuto calare le braghe per non morire. Nel maggio 2010 venne firmato il primo memorandum tra la Troika (Commissione europea, Bcee Fmi) ed il governo greco. Oggi, esattamente a distanza di dieci anni dal giorno in cui la Grecia smise, di fatto, di essere uno Stato sovrano, l’emergenza coronavirus ha mostrato al mondo intero quanto sia solo lo Stato l’istituzione capace di proteggere i cittadini. Sono tornati ad ammetterlo un po’ tutti, anche chi, dalla caduta del muro di Berlino in poi, non ha fatto altro che lavorare per indebolire gli Stati centrali e sancire il trionfo della finanza sulla politica, del mercato sui diritti, delle merci sulle persone, delle bombe sulla carne degli esseri umani e dell’austerità sull’interesse generale.

«Va aumentato il debito pubblico per proteggere economia e lavoro». Così ha tuonato Draghi dalle pagine del Financial Times. Quando erano i “populisti” a scagliarsi contro la logica del pareggio di bilancio in Costituzione e a chiedere interventi a debito per contrastare gli effetti della Grande recessione l’establishment faceva muro giudicando tali idee nient’altro che corbellerie. Ma ora parla Draghi, l’apostolo Draghi e tutti i valletti del sistema si spellano le mani dagli applausi.

Viviamo tempi oscuri, una crisi economica e sociale senza precedenti è alle porte e siamo chiusi in casa senza sapere quando sarà possibile uscirne. La quarantena e il sovraccarico cognitivo al quale l’interminabile tempo in casa ci sottopone non aiuta a schiarirsi le idee. L’infodemia, la circolazione ossessiva di informazioni che caratterizza il mondo ai tempi del coronavirus genera caos, intorbidisce le acque dando ai cinici pescatori di consenso occasioni irripetibili. Il sistema di potere nei prossimi mesi adotterà varie strategie per reiterare il suo dominio. Dai giornali, per lo meno da quelli che campano grazie alle pubblicità generosamente pagate dall’establishment economico-finanziario partirà una campagna senza precedenti in favore della “cosiddetta” competenza. Ci diranno che la crisi da COVID-19 ha messo fine al decennio populista e proveranno in ogni modo ad occultare i reali responsabili della catastrofe economico sanitaria che stiamo vivendo. Sarà tutto marketing.

Dietro l’elogio della preparazione si nasconderà il subdolo tentativo di difendere i professionisti della politica mentre l’attacco al populismo servirà a tutt’altro scopo, ovvero all’eterna demonizzazione dei Popoli, delle loro richieste, delle loro pulsioni e della loro sacrosanta ambizione ad avere una voce oltre che un voto a disposizione. La politica è l’unica attività umana che, in molti casi, si inizia a fare peggio proprio quando si diventa professionisti ma per continuarla a farla la stirpe delle classi dirigenti usa qualsiasi stratagemma. Dozzinali conformisti come Salvini e Meloni si fingono populisti per racimolare consensi. Parlano di Nazione sovrana ma quando hanno ricoperto incarichi rilevanti hanno lavorato per indebolire lo Stato centrale a vantaggio di quel sistema liberista che dicono di voler combattere. Per il potere sono disposti a meschinità ed inversioni ad U. L’uno pur di rioccupare una poltrona che conta ha iniziato a lustrare le scarpe a Draghi; l’altra si erge a paladina dell’anti-europeismo dopo aver sostenuto il governo Monti e votato a favore della riforma Fornero.

Tornando a Draghi, io non credo che abbia intenzione di diventare presidente del Consiglio, semmai ambisce al Quirinale, ma è indubbio che le sue parole abbiano risvegliato in molti quel desiderio mai sopito di lasciarsi governare dai tecnici, svilendo, ancora una volta, la Politica. «La lettera di Draghi al Financial Times andrebbe letta e imparata a memoria» ha detto Renzi. E Salvini, in Senato, ha mostrato ancora una volta la poca differenza tra i due Matteo: «Grazie Draghi per le sue parole. Benvenuto, ci serve il suo aiuto». Chi ha memoria ricorda bene gli aiuti di Draghi al nostro Paese.

Fu Draghi, da Direttore del Tesoro, ad adoperarsi affinché la famiglia Benetton acquisisse dall’Iri, ad un costo ridicolo, la Società Autostrade. Lui, insieme a Prodi e Massimo D’Alema fu protagonista di quella stagione di privatizzazioni che ha indebolito lo Stato italiano. Fu ancora lui, diventato nel frattempo Governatore di Bankitalia, ad autorizzare Mps ad acquistare la Banca Antonveneta dalla spagnola Santander al triplo del suo valore. E nel febbraio 2012, fu sempre lui, stavolta da presidente della Bce a dichiarare in un’intervista al Wall Street Journal la morte del modello sociale europeo augurandosi un nuovo ciclo liberalizzazioni. Il diffondersi del COVID-19 ha spazzato via queste parole. Senza il modello sociale europeo, claudicante ma ancora esistente, ci sarebbe stata una carneficina ancor più funesta.

«Siamo in guerra, siamo in guerra» si sente in tv ogni giorno. Anche ripetere all’infinito queste parole fa parte della strategia adottata dall’establishment per sopravvivere. Lungi da me sminuire le drammatiche conseguenze del COVID-19 tuttavia bersi la retorica bellica è pericoloso poiché ci distoglierebbe dalla ricerca delle responsabilità che è un dovere civico. «Siamo in guerra» è una frase auto-assolutoria che un intero sistema politico-finanziario ripete per convincere la pubblica opinione dell’ineluttabilità di ciò che stiamo vivendo. Se è vero che il virus è invisibile è altrettanto vero che il liberismo non lo è e non lo sono neppure coloro che hanno preferito comprare F35, inviare militari in Iraq e in Afghanistan o finanziare grandi opere inutili per poi tagliare posti letto negli ospedali rafforzando i ras della sanità privata che restituivano il favore sotto forma di finanziamenti ai partiti.

Nel 1998, ad un anno dalla sottoscrizione da parte dei Paesi europei di quel Patto di stabilità che l’Ue ha da poco sospeso e che ha dato inizio all’era dell’austerità, in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007, a 10 anni dal Patto, gli istituti sono scesi a 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 gli istituti di cura sono diventati 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati.

Nel 1980, poco prima del “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro i posti letto per malati gravi erano 922 ogni 100.000 abitanti. Poi l’inesorabile declino fino ai 275 ogni 100.000 abitanti durante il governo Monti. I tagli alla spesa pubblica, tuttavia, non hanno fermato la crescita esponenziale del nostro debito. Nel 1980 il rapporto debito/Pil era del 58%. Nel 1992 del 90%, nel 1999 del 106%, nel 2011 del 116%, nel 2014 del 131%. Nel 2018 il rapporto tra debito pubblico italiano ed il prodotto interno lordo ha raggiunto il 134,8%.

Ci hanno raccontato che l’austerità servisse per risanare i conti. Non è vero, basta leggere i numeri. L’austerity è una delle tante strategie elaborate dal sistema finanziario mondiale per indebolire gli Stati e costringerli allo smantellamento del welfare state a vantaggio dei privati. Da 30 anni funziona così e, nonostante la tragedia del COVID-19 abbia palesato l’irresponsabilità delle politiche economiche europee in Ue proveranno ad ogni modo a continuare sulla stessa rotta.

Prendiamo le proposte uscite dall’ultimo Eurogruppo. Ad oggi sul piatto ci sono il Sure (un fondo fino a 100 miliardi a sostegno dei disoccupati europei), poi un programma di sostegno economico alle aziende messo in campo dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), la linea di credito del Mes da utilizzare esclusivamente per le spese sanitarie ed il possibile Recovery Fund, ovvero un fondo ancora da creare per sostenere la ripresa economica europea e finanziato, a quando pare, con il bilancio Ue. A parte il Recovery Fund, misura ancora work in progress, dall’Eurogruppo sono uscite tutte proposte che aumenteranno i debiti pubblici degli Stati.

Oggi, con la sospensione del Patto di stabilità, l’Ue garantisce ai Paesi membri la possibilità di indebitarsi ma un domani, a crisi sanitaria conclusa, quelle regole torneranno in vigore. E questo è l’obiettivo di Germania, Olanda, Austria ed altri paesi del nord: aumentare i debiti pubblici di tutti i Paesi europei costringendo tra un anno o due al rientro i paesi più esposti, a cominciare dall’Italia.

L’Ue si è sempre comportata in tal modo, cosa ci garantisce che non lo faranno ancora? Se l’Ue (Germania in primis), in una fase sì di crisi economica ma non paragonabile al cataclisma che stiamo vivendo ha distrutto la Grecia solo con l’obiettivo di far razzia dei suoi pochi asset e compiendo la più grande operazione di trasferimento di ricchezze da un paese povero verso i paesi più ricchi che l’Europa abbia mai visto, chi ci garantisce che questo modus operandi non avverrà ancora? I prestiti fatti alla Grecia – in cambio dei quali Atene ha dovuto privatizzare, affidare la gestione degli aeroporti a Berlino, tagliare il salario minimo ed aumentare l’età pensionabile – non sono finiti nell’economia greca. Quei denari sono tornati nelle casse degli istituti finanziari francesi e tedeschi i quali detenevano una fetta cospicua di titoli di stato greci. L’Ue ha intubato la Grecia, l’ha tenuta in vita per spolparla giorno dopo giorno per poi costringerla a diventare una zona cuscinetto obbligata ad accogliere migliaia di disperati fuggiti dalle guerre condotte da Washington con la vile compiacenza dell’Unione Europea. L’austerity è come la guerra, c’è chi si arricchisce e chi vive tra le macerie, c’è chi fa business e chi conta i morti. L’austerità è una delle tante armi che ha in mano il neo-liberismo per aggredire gli Stati centrali e l’Ue, per lo meno fino ad oggi, non è stata altro che la continuazione del neo-liberismo con altri mezzi.

L’Italia, contrariamente alla narrazione di Bruxelles, diffusa da molti media nostrani, veri e propri collaborazionisti del sistema finanziario, non è affatto un Paese inaffidabile. L’Italia è il Paese numero uno al mondo per avanzo primario del proprio bilancio degli ultimi 30 anni. Cosa significa? Che nell’ultimo quarto di secolo, al netto degli interessi sul debito che ogni anno paghiamo, l’Italia ha speso sempre meno di quello che ha incassato. Le entrate fiscali sono sempre state superiori alla spesa pubblica.

Conte è un galantuomo, non ho dubbi che abbia a cuore le sorti delle famiglie e delle imprese italiane e neppure che consideri il Mes una trappola da evitare. Gli credo quando dice che l’Italia non intende attivare il Mes. Il punto è che la contrazione del PIL alla quale andremo incontro e l’aumento del debito pubblico che oggi l’Ue “generosamente” ci concede ci porterà verso una spirale dalla quale sarà possibile uscire solo attivando, in futuro, strumenti come il Mes con fortissime condizionalità.

La Germania ha il 62% di rapporto debito-Pil, la Francia il 98,4% e la Spagna il 97,6%. Quello italiano è del 134,8%. Nei prossimi mesi tutti i Paesi europei vedranno aumentare tale rapporto ma nessuno, a parte l’Italia, potrebbe toccare il 160%. E con un rapporto debito-Pil del 160% l’Italia, una volta tornato in vigore il Patto di Stabilità, sarebbe costretta a varare manovre lacrime e sangue.

Noi italiani deteniamo, mediamente, una ricchezza privata molto consistente. Questo perché siamo un popolo oculato al contrario di come ci descrivono. I soldi che abbiamo in banca fanno gola al sistema liberista e l’unico modo che hanno per farci spendere è impoverire il nostro Stato e costringerlo, ancor di più, nella spirale dell’austerità che ha prodotto le maggiori diseguaglianze nella storia dell’umanità.

Il neo-liberismo e i suoi sottoprodotti (austerità, privatizzazioni, guerre di invasione mascherate da missioni di pace, disastri ambientali in nome del progresso) ha prodotto una forbice di reddito tra ricchi e poveri che neppure nelle epoche monarchiche si registrava. Fino al 2018 (anno dell’introduzione del reddito di cittadinanza, una misura della quale il Movimento 5 Stelle dovrebbe andare ancor di più fiero) l’Italia era il Paese UE con la più alta differenza di reddito tra i cittadini. L’1% della popolazione italiana detiene il 20% della ricchezza netta. Ma la disparità di ricchezza è un dramma mondiale. Nei prossimi 20 anni, secondo un rapporto Oxfam, le 500 persone più ricche del mondo lasceranno ai propri eredi oltre 2400 miliardi di dollari, una cifra vicina al Pil dell’India, ovvero il secondo e presto il primo paese al mondo per abitanti. Tutto questo è frutto delle politiche neo-liberali che non avrebbero potuto trionfare senza l’abbattimento degli Stati centrali.

Il sistema neo-liberista è in difficoltà, in tanti si stanno rendendo conto dell’importanza della protezione dello Stato ma attenzione, è proprio in tempo di crisi che, per non morire, l’establishment diventa più violento.

Conte si definì l’avvocato del Popolo, fu criticato ma per me fu un’espressione felice. Un avvocato, quando sa che il proprio cliente ha ragione da vendere gli dice: “Sarà dura ma possiamo farcela”. E noi italiani abbiamo ragione da vendere. Abbiamo subito le angherie di una classe politica che ha mercanteggiato sulla nostra pelle. Siamo stati descritti come oziosi scialacquatori quando senza di noi non sarebbe mai nata l’Unione Europea.

Conte si è guadagnato una credibilità che in pochi hanno avuto in passato ma credibilità è sempre un’immensa responsabilità. Proveranno in ogni modo a metterci all’angolo. Ci spingeranno ad indebitarci per poi passare all’incasso ma noi abbiamo delle carte da giocarci in sede di contrattazione.

In primis il fatto che senza l’Italia l’Ue si scioglierebbe come neve al sole. Poi un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio ministro dello Sviluppo economico prima e degli Esteri poi. E la Cina, ed è paradossale essendo stato il primo paese colpito dal COVID-19, uscirà meglio di chiunque altro da questa crisi. La Cina ha utilizzato al meglio il soft-power, è riuscita a trasformare la sua immagine da untore ad alleato nel momento del bisogno.

Salvini e Meloni denigrano la Cina perché credono ancora che per sedersi a Palazzo Chigi sia necessario baciare pantofole a Washington ma il mondo sta cambiando e la geopolitica, nei prossimi mesi, subirà enormi mutamenti. La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europei tale relazione.

Un’ultima considerazione. Pochi giorni fa il Giappone ha stanziato 2 miliardi di euro per facilitare il ritorno in patria di una serie di aziende manifatturiere che avevano spostato la produzione in Cina. Quante sono le aziende italiane che hanno spostato la sedi e produzioni all’estero? Anche in Olanda, quel “paradiso fiscale” a norma di legge garantito dall’Ue. Ebbene è necessario un piano di sostegno straordinario per far rientrare in patria molte aziende. Anche un piano del genere sarebbe un’arma di contrattazione da mettere sul tavolo europeo.

Mentre in Italia il dibattito si concentra su Mes sì o Mes no o la Federal Reserve, la Banca centrale degli Stati Uniti d’America, ha comprato, dall’inizio di marzo ad oggi, ha comprato titoli di stato Usa per 2000 miliardi di dollari. Il nuovo programma europeo di quantitative easing messo in campo dalla Bce pochi giorni fa prevede l’acquisto di 750 miliardi di euro da qui a fine anno. Mentre in Italia si discute sull’orario delle conferenze stampa di Conte la Bank of England ha deciso di finanziare direttamente la spesa pubblica del Regno Unito. Ma la Banca d’Inghilterra e la Fed possono, se vogliono, comportarsi da banche centrali, la Bce no.

L’altro ieri è uscito un appello firmato da 101 economisti italiani ai quali si sono aggiunti Jean-Paul Fitoussi, docente all’Istituto di studi politici di Parigi e James K. Galbraith, dell’Università di Austin, Texas. Nell’appello definiscono l’accordo raggiunto nell’ultimo Eurogruppo non solo insufficiente ma in “preoccupante continuità con le scelte politiche che hanno fatto dell’eurozona l’area avanzata a più bassa crescita nel mondo”. Insistono sulla necessità di ridurre al minimo possibile l’indebitamento degli Stati ricordando che l’unica opzione realmente adeguata sarebbe il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie ad affrontare la crisi da parte della Bce. I trattati europei, ad oggi, lo proibiscono ma anche i trattati, in una situazione di necessità possono essere sospesi.

L’Italia punti in alto e dica “no” quando è giusto farlo. Sia chiaro, certi no sono seguiti da pressioni inimmaginabili e dal puntuale ricatto dello spread che, come abbiamo visto, può essere innescato con una sola frase pronunciata da un potente di turno. Ciononostante l’atteggiamento che dimostreremo, come paese, nei prossimi giorni determinerà il futuro dei prossimi 10 anni. O si lotta per costruire davvero l’Europa o il Vecchio continente, nonostante l’arricchimento passeggero di alcuni suoi paesi a discapito di altri, verrà schiacciata politicamente da paesi come la Cina, l’India e gli Stati Uniti i quali, con tutte le pecche del mondo, si comportano da Stati”.